L'emanazione da parte del Parlamento europeo della risoluzione che rettifica le esternazioni espresse dal Commissario europeo per giustizia, libertà e sicurezza - nonché vicepresidente della Commissione europea - a proposito dei rom presenti in Italia suscita la necessità di ricordare il contenuto della direttiva europea 38 del 2004 relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.
La direttiva europea stabilisce che i cittadini europei hanno diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione, se non il possesso di un passaporto o di una carta d'identità (art. 6, comma 1), e successivamente, a condizione che il cittadino: a) abbia un lavoro regolare o b) possegga sufficienti risorse finanziarie e un'assicurazione sanitaria (art. 7). Queste previsioni sono adottate al fine di evitare che il cittadino non gravi ECCESSIVAMENTE sull'assistenza sociale dello Stato membro di cui è ospite.
Tuttavia, la direttiva prevede anche che il semplice ricorso del cittadino all'assistenza sociale non costituisca un motivo di allontanamento dal territorio dello Stato membro ospitante (art. 14, comma 3) e che i limiti del diritto di soggiorno di cui sopra siano derogati qualora il cittadino dimostri di essere alla ricerca di un posto di lavoro e abbia buone possibilità di trovarlo (art. 14, comma 4).
Ulteriori limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno possono essere poste per motivi di ORDINE PUBBLICO o PUBBLICA SICUREZZA. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici (art. 27, comma 1). I provvedimenti adottati per i suddetti motivi devono rispettare i principi della proporzionalità e della personalità (i comportamenti personali devono rappresentare una minaccia reale, grave e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società). Inoltre la sola presenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti (art. 27, comma 2).
Nell'adozione di un provvedimento d'allontanamento lo Stato membro prende in considerazione: a) la durata del soggiorno del'interessato, b) l'età, c) la condizione di salute, d) la situazione familiare ed economica, e) l'integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante, f) l'importanza dei legami con il paese d'origine (art. 28, comma 1).
La direttiva prevede anche il diritto di opporre ricorso al provvedimento di espulsione presso l'autorità giudiziaria o amministrativa che sarà indicata nello stesso provvedimento (art. 31, comma 1 e 30, comma 3).
Dopo tre anni dall'esecuzione del provvedimento di espulsione, il cittadino può presentare una domanda di revoca del divieto di ingresso che dimostri la mutazione delle circostanze per le quali era stato adottato il provvedimento (art. 32, comma 1).
La direttiva non specifica se il destinatario di un provvedimento d'allontanamento da parte di uno Stato membro può essere ammesso, nel frattempo, in un altro Stato membro.
La direttiva europea stabilisce che i cittadini europei hanno diritto di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro per un periodo non superiore a tre mesi senza alcuna condizione, se non il possesso di un passaporto o di una carta d'identità (art. 6, comma 1), e successivamente, a condizione che il cittadino: a) abbia un lavoro regolare o b) possegga sufficienti risorse finanziarie e un'assicurazione sanitaria (art. 7). Queste previsioni sono adottate al fine di evitare che il cittadino non gravi ECCESSIVAMENTE sull'assistenza sociale dello Stato membro di cui è ospite.
Tuttavia, la direttiva prevede anche che il semplice ricorso del cittadino all'assistenza sociale non costituisca un motivo di allontanamento dal territorio dello Stato membro ospitante (art. 14, comma 3) e che i limiti del diritto di soggiorno di cui sopra siano derogati qualora il cittadino dimostri di essere alla ricerca di un posto di lavoro e abbia buone possibilità di trovarlo (art. 14, comma 4).
Ulteriori limitazioni alla libertà di circolazione e di soggiorno possono essere poste per motivi di ORDINE PUBBLICO o PUBBLICA SICUREZZA. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici (art. 27, comma 1). I provvedimenti adottati per i suddetti motivi devono rispettare i principi della proporzionalità e della personalità (i comportamenti personali devono rappresentare una minaccia reale, grave e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società). Inoltre la sola presenza di condanne penali non giustifica automaticamente l'adozione di tali provvedimenti (art. 27, comma 2).
Nell'adozione di un provvedimento d'allontanamento lo Stato membro prende in considerazione: a) la durata del soggiorno del'interessato, b) l'età, c) la condizione di salute, d) la situazione familiare ed economica, e) l'integrazione sociale e culturale nello Stato membro ospitante, f) l'importanza dei legami con il paese d'origine (art. 28, comma 1).
La direttiva prevede anche il diritto di opporre ricorso al provvedimento di espulsione presso l'autorità giudiziaria o amministrativa che sarà indicata nello stesso provvedimento (art. 31, comma 1 e 30, comma 3).
Dopo tre anni dall'esecuzione del provvedimento di espulsione, il cittadino può presentare una domanda di revoca del divieto di ingresso che dimostri la mutazione delle circostanze per le quali era stato adottato il provvedimento (art. 32, comma 1).
La direttiva non specifica se il destinatario di un provvedimento d'allontanamento da parte di uno Stato membro può essere ammesso, nel frattempo, in un altro Stato membro.
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