Nel quadro del progetto interregionale Vie d'uscita, in cui è iscritta la ricerca-azione intitolata "Focus sul fenomeno della tratta delle donne: analisi delle trasformazioni correnti e nuove strategie d'intervento di protezione sociale. Il caso Piemonte", è stata data particolare rilevanza ad un fenomeno appena emerso nel nostro paese: la prostituzione thailandese.
Nel giugno del 2006 una vasta operazione del carabinieri di Asti ha portato alla luce circa 60 case d'appuntamento dislocate tra Asti, Alessandria, Nizza, Pavia e Napoli, dove erano impiegate 123 cittadine thailandesi tra i 18 e i 41 anni.
Le donne erano originarie del Nord Est del paese, una zona che non è stata raggiunta dal boom economico degli anni '80-'90, abitata in prevalenza dall'etnia Hill, da sempre vittima di discriminazioni da parte del governo centrale. La maggior parte delle donne intercettate dalla polizia, infatti, è risultata analfabeta; alcune di loro, inoltre, erano in grado di parlare solo il dialetto della regione d'origine (condizione che ha complicato il già difficile lavoro delle mediatrici culturali).
Il contatto coi trafficanti era avvenuto a seguito della vendita della ragazza da parte della famiglia indigente o, nella maggior parte dei casi, in occasione della ricerca di un lavoro all'estero. L'organizzazione si serviva di un'agenzia di viaggi che vendeva pacchetti-viaggio di 5 mila euro in cui era incluso il visto turistico per tre mesi. In questo contesto veniva prospettato alle donne anche un impiego come colf, sarta o cameriera.
Una volta giunte in Italia venivano accolte da maitresse thailandesi dotate di documenti regolari o della cittadinanza italiana (ottenuta a seguito di un matrimonio con uomini italiani - la coppia di sfuttatori italo-thailandese si è rivelata essere una forma di organizzazione assai diffusa). Le vittime venivano indotte a stare negli appartamenti per lunghi periodi di tempo, uscendo solo in compagnia delle maitresse o di altre figure affiliate al gruppo criminale. Il debito che dovevano ripagare era di 12.000-15.000 euro, che riuscivano ad estinguere in circa due anni, periodo a cui faceva seguito una divisione dei guadagni del 50%. Il costo delle prestazioni variava dai 75 ai 400 euro.
Raramente le donne hanne tentato di sottrarsi ai trafficanti, sia per il loro carattere docile ed obbediente, sia per le enormi difficoltà di comunicazione che incontravano con il mondo esterno.
La pubblicizzazione del servizio avveniva sui periodici locali o anche sul web. A gestire le telefonate e a fissare gli appuntamenti, come nella prostituzione cinese, erano le maitresse.
Della diffusione della pubblicità, così come dell'individuazione degli appartamenti più adatti dove svolgere l'attività, ma anche di altre attività logistiche, si occupavano cittadini italiani, spesso pensionati.
E' stato riscontrato un basso utilizzo di precauzioni durante i rapporti e alcune delle ragazze intercettate sono risultate essere sieropositive. Questo costituisce un problema assai rilevante se si considera che la prostituzione thailandese si svolge quasi esclusivamente al chiuso e che per gli operatori sociali - potenziali fonti di informazione medica e ponti di contatto con i servizi sanitari - è estremamente complesso raggiungere le donne che si prostituiscono in appartamento.
A seguito della presa in carico, la maggior parte delle donne hanno optato per il programma di rimpatrio promosso dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (in questa decisione sembra abbia avuto un peso determinante il ruolo delle mediatrici contattate attraverso l'ambasciata thailandese). Una parte è stata espulsa; un'altra, tra cui cinque ragazze che hanno denunciato i propri sfruttatori e intrapreso il programma di protezione sociale ex art. 18, è stata presa in carico a diverso titolo. La sfida maggiore, per gli operatori sociali impegnati nel percorso di inclusione sociale, è comprendere una cultura così diversa da quella Est europea o nigeriana.
Nel giugno del 2006 una vasta operazione del carabinieri di Asti ha portato alla luce circa 60 case d'appuntamento dislocate tra Asti, Alessandria, Nizza, Pavia e Napoli, dove erano impiegate 123 cittadine thailandesi tra i 18 e i 41 anni.
Le donne erano originarie del Nord Est del paese, una zona che non è stata raggiunta dal boom economico degli anni '80-'90, abitata in prevalenza dall'etnia Hill, da sempre vittima di discriminazioni da parte del governo centrale. La maggior parte delle donne intercettate dalla polizia, infatti, è risultata analfabeta; alcune di loro, inoltre, erano in grado di parlare solo il dialetto della regione d'origine (condizione che ha complicato il già difficile lavoro delle mediatrici culturali).
Il contatto coi trafficanti era avvenuto a seguito della vendita della ragazza da parte della famiglia indigente o, nella maggior parte dei casi, in occasione della ricerca di un lavoro all'estero. L'organizzazione si serviva di un'agenzia di viaggi che vendeva pacchetti-viaggio di 5 mila euro in cui era incluso il visto turistico per tre mesi. In questo contesto veniva prospettato alle donne anche un impiego come colf, sarta o cameriera.
Una volta giunte in Italia venivano accolte da maitresse thailandesi dotate di documenti regolari o della cittadinanza italiana (ottenuta a seguito di un matrimonio con uomini italiani - la coppia di sfuttatori italo-thailandese si è rivelata essere una forma di organizzazione assai diffusa). Le vittime venivano indotte a stare negli appartamenti per lunghi periodi di tempo, uscendo solo in compagnia delle maitresse o di altre figure affiliate al gruppo criminale. Il debito che dovevano ripagare era di 12.000-15.000 euro, che riuscivano ad estinguere in circa due anni, periodo a cui faceva seguito una divisione dei guadagni del 50%. Il costo delle prestazioni variava dai 75 ai 400 euro.
Raramente le donne hanne tentato di sottrarsi ai trafficanti, sia per il loro carattere docile ed obbediente, sia per le enormi difficoltà di comunicazione che incontravano con il mondo esterno.
La pubblicizzazione del servizio avveniva sui periodici locali o anche sul web. A gestire le telefonate e a fissare gli appuntamenti, come nella prostituzione cinese, erano le maitresse.
Della diffusione della pubblicità, così come dell'individuazione degli appartamenti più adatti dove svolgere l'attività, ma anche di altre attività logistiche, si occupavano cittadini italiani, spesso pensionati.
E' stato riscontrato un basso utilizzo di precauzioni durante i rapporti e alcune delle ragazze intercettate sono risultate essere sieropositive. Questo costituisce un problema assai rilevante se si considera che la prostituzione thailandese si svolge quasi esclusivamente al chiuso e che per gli operatori sociali - potenziali fonti di informazione medica e ponti di contatto con i servizi sanitari - è estremamente complesso raggiungere le donne che si prostituiscono in appartamento.
A seguito della presa in carico, la maggior parte delle donne hanno optato per il programma di rimpatrio promosso dall'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (in questa decisione sembra abbia avuto un peso determinante il ruolo delle mediatrici contattate attraverso l'ambasciata thailandese). Una parte è stata espulsa; un'altra, tra cui cinque ragazze che hanno denunciato i propri sfruttatori e intrapreso il programma di protezione sociale ex art. 18, è stata presa in carico a diverso titolo. La sfida maggiore, per gli operatori sociali impegnati nel percorso di inclusione sociale, è comprendere una cultura così diversa da quella Est europea o nigeriana.
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