giovedì 11 ottobre 2007

La posizione del Gruppo Abele sulla prostituzione

"L'impatto della prostituzione (...) in alcune città è diventato per i cittadini che vivono nelle zone dove viene esercitata, un problema". I ministeri (a parte quello degli Interni, che a gennaio ha istituito l'Osservatorio sulla prostituzione) e la maggior parte dei Comuni "o non hanno un grave problema di impatto sul territorio, a volte grazie alla rete di associazioni e enti che lo presidiano, oppure hanno dimostrato di agire in tutt’altro modo: senza coinvolgere chi lavora e senza informarsi sulle leggi esistenti, invocandone però di nuove e proponendo scorciatoie a problemi complessi. Tra queste:

-la riapertura delle case chiuse per controlli sanitari e di polizia: sarebbe un passo indietro culturale e un modo per denigrare ancora una volta la dignità delle donne, tutte le donne, non solo le prostitute. Dubito che questa proposta possa avere i “numeri” per passare anche perché, se fosse seriamente considerata, moltissime donne chiederebbero di “schedare” anche i clienti, per parità di trattamento ovviamente…;

-la punibilità della prostituzione in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Significa che un comportamento diventa reato a seconda del luogo…che ipocrisia! Questo, di fatto, sposterebbe il problema dai luoghi “aperti” a quelli chiusi con la conseguenza di spostare solo fisicamente il fenomeno (...): mandare le persone che si prostituiscono al chiuso significa renderle maggiormente vulnerabili, sfruttabili e non più raggiungibili dalle associazioni (...)

-la punibilità dei clienti. (...) La legge prevede già, chiaramente, la punibilità di chi si accompagna con un minore". Per quanto riguarda gli altri, "l’elemento che li accomuna (...) è la solitudine e l’incapacità o l’impossibilità di rapportarsi con l’altro sesso. Le associazioni che sono contro la loro punibilità – quasi tutte – sostengono che non si risolve con la denuncia, il carcere, la pubblicizzazione della targa dell’auto o altro questo tipo di fragilità. Sono altri i metodi, le strade. Di certo non va dimenticato che di fronte ad alcuni di questi interventi estemporanei alcuni clienti, per la vergogna, hanno reagito col suicidio;

-quartieri a luci rosse, zooning o altro. (...) Un conto è fare uno zooning come a Venezia, dove l’individuazione di un’area di minor impatto territoriale, con conseguente spostamento delle donne che si prostituivano è stata una decisione condivisa da tutti, a cominciare dalle donne e dalle associazioni che le rappresentano o lavorano al loro fianco. Altra cosa è pensare che le municipalità siano delegate a decidere, a tavolino, e solo loro, dove ci si prostituisce (...).

-legalizzare la prostituzione. Sembra semplice a dirlo e anche libertario, se poi viene indorata la proposta con maggior introiti fiscali per lo Stato piace anche a forze di diverso stampo politico. E’ la peggiore di tutte le proposte" in quanto sul piano culturale, con la legge Merlin, è stata necessaria molta fatica "per rivendicare il diritto delle donne di non essere schedate, nella loro vita, come prostitute. In questo modo non ci sarebbe scampo. Chi non paga le tasse è un evasore e va perseguito. Su questo punto alcuni dicono, strumentalmente, che anche le associazioni di prostitute sono d’accordo. Io e molti altri diciamo che sì, c’è anche chi ci starebbe ma rappresenta se stessa e non tutte le donne che si prostituiscono, soprattutto quelle trafficate (...).

Di fronte a tutto questo che cosa propongono molti di noi? Alcune cose semplici e fattibili subito, ma impegnative.
1 – Applicare le leggi esistenti, la “sua legge”, l’articolo 18 del TU sull’immigrazione, la legge 228/2003 sulla tratta.
2 – Attivare laddove il fenomeno prostituzione ha un difficile impatto sul territorio interventi di mediazione dei conflitti e di coinvolgimento di chi lavora sul tema: enti, associazioni laiche e cattoliche, rappresentanti del mondo della prostituzione e della transessualità.
3 – Avviare tavoli interdisciplinari per ragionare sul tema della “domanda” e dei possibili interventi sul piano culturale ed educativo".

Indubbiamente si tratta di una posizione lucida e completa. Aggiungerei solo, da parte mia, una domanda e un'osservazione.
La prima riguarda i clienti, controparte poco indagata del fenomeno della prostituzione. Quanto è realmente cambiato l'atteggiamento degli uomini nei confronti delle prostitute rispetto al passato? Siamo davvero di fronte ad un preoccupante aumento dei clienti? Senz'altro l'immissione nel circuito della prostituzione di minorenni e le conquiste umanitarie ottenute sinora pongono seri problemi morali riguardo al rapporto tra clienti e ragazze che non hanno raggiunto la maggiore età. Tuttavia, con riferimento agli altri casi, nutro il dubbio che il rapporto di genere, nelle sue ripercussioni sulla prostituzione, sia peggiorato rispetto al passato, quando comunque l'equilibrio tra uomini e donne era parziale.
L'osservazione concerne la legalizzazione della prostituzione. Essere schedate come prostitute rappresenta sicuramente un motivo di emarginazione sociale, ma perché arrendersi di fronte al tentativo di riabilitazione di questa figura? Dopotutto l'inclusione è proprio uno dei compiti delle associazioni che lavorano sul campo. Inoltre, il fatto stesso di contribuire all'erario statale potrebbe portare la società a vedere la prostituzione sotto una luce migliore; e, d'altra parte, in un'ottica positivistica, va ricordato che le leggi innescano e radicano precisi comportamenti sociali. Per quanto riguarda i vantaggi diretti delle prostitute, bisognerebbe considerare che al dovere di pagare le tasse corrisponderebbe la garanzia dei diritti fondamentali, di cui oggi la maggior parte delle prostitute, essendo immigrate clandestine, è, di fatto, privata.
Per chi, poi, non volesse o non potesse dichiarare i guadagni della propria attività in quanto vittima di tratta rimarrebbero comunque il percorso di protezione sociale e il programma di assistenza previsto dalla legge 228/2003 (e se un giorno i fondi fossero costituiti dalle entrate fiscali delle sex workers?). Tra l'altro l'individuazione delle vittime sarebbe facilitato in quanto il campo si restringerebbe a chi non registra la propria attività economica. La questione della punibilità per il mancato pagamento delle tasse è parallela a quella dell'espulsione per la violazione delle norme sull'immigrazione: chi applica le leggi spesso non si pone il problema della valutazione se una donna sia vittima di tratta o meno. Il perno della questione, dunque, mi sembra che sia quello del discernimento tra chi non pagherebbe le tasse per volontà personale e chi non lo farebbe perchè costretta. Ci si troverebbe di fronte alla stessa difficoltà di comprendere quando una donna è vittima di tratta o no, ma nel frattempo molti più soggetti, soprattutto stranieri, avrebbero un permesso di soggiorno e sarebbero effettivamente più tutelati.

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