domenica 21 settembre 2008

La zona grigia della sanità italiana


La salute dei neocomunitari non è uguale per tutti: il ministero ha deciso che dipende dai singoli Sistemi sanitari regionali. Alcuni hanno istituito il tesserino Eni (europeo non iscritto) per poter chiedere il rimborso al paese d’origine, altri no. A causa di un vuoto amministrativo, bulgari e rumeni non iscritti alla sanità regionale perché magari lavorano in nero o non sanno che in Italia serve la tessera europea di assicurazione malattia (Team) se si resta nel nostro paese meno di tre mesi, rischiano di vedersi negare l’assistenza sanitaria se non ricorrono a un’assicurazione privata, nonostante la legge nazionale e una direttiva regionale gliela garantiscano. “Il problema è nato con l’allargamento dell’Unione europea e non è ancora stato risolto – spiega Salvatore Geraci, presidente della Società italiana di medicina delle migrazioni –. Il ministero della Salute ha detto di applicare la normativa comunitaria a tutti i cittadini Ue, ma poi ha delegato alle Regioni la scelta di come fare con i neoentrati”.
“Ecco che allora alcune amministrazioni hanno istituito il tesserino Eni (europeo non iscritto) e altre no, creando non poche discrepanze. Il problema si pone soprattutto per quelle persone che lavorano in nero, che non sanno che in Italia serve la tessera europea di assicurazione malattia (Team) o che non possono permettersi un’assicurazione privata. A peggiorare il quadro – continua il dottor Geraci –, quest’estate è arrivata la legge 133 del 6 agosto 2008 che ha modificato il testo unico sull’immigrazione abrogando la parte che diceva che ai cittadini comunitari si applicano le norme più favorevoli”.
Né immigrati irregolari né cittadini iscritti al Servizio sanitario regionale, molti neocomunitari sono quindi caduti in una zona grigia in cui non è garantita loro l’assistenza sanitaria. Il motivo? La mancanza di indicazioni tecniche, da parte della Regione, sulla contabilità separata da tenere all’interno delle Ausl per le prestazioni fornite a bulgari e rumeni. Insomma, la Regione dice cosa bisogna fare, ma non dice come farlo. Così, “il diritto all’assistenza, che è stato ribadito dalla legge nazionale e da una direttiva regionale, di fatto trova ostacoli ad essere garantito” dice Chiara Bodini di Sokos. Ma “nei nostri ambulatori – spiega il medico volontario dell’associazione bolognese che assiste gli stranieri irregolari –, i rumeni hanno continuato a venire anche dopo che il ministero della Salute aveva ribadito loro il diritto ad avere l’assistenza sanitaria da parte delle Ausl, soprattutto per le prestazioni indifferibili e urgenti”. “Gli operatori delle Asl non sanno cosa scrivere sulle ricette e si sono create delle situazioni di rimpallo delle responsabilità che impattano sull’utente e esasperano gli operatori”.

Fonte: Redattore Sociale


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